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Salmo Trutta Strella
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Testo di  Ignazio Abbruzzo
Fotografie di  Ignazio Abbruzzo
Data Pubblicazione  04/06/2009

Certe persone tale racconto lo capiranno in un modo, altre in un altro. Ma l'animo di una sensibilità superiore ne coglierà la vera essenza.

L'airone bianco se ne stava immobile sull'altra sponda, un po' più a valle, aspettando che le rane nascoste tornassero a respirare in superficie ... non aveva visto nè sentito il pescatore dietro il cespuglio, e questo era un buon segno.

Era un torrente che scendeva ossigenato dalla montagna e che, all'inizio del piano, si distendeva tranquillo a decantarsi dei detriti e delle sabbie aurifere.

In certi punti, dove la riva era più bassa, l'acqua sboccava un po', facendo tremare l'erba sommersa. Sull'altra sponda,  un ceppo abbattuto era pieno di lentinelli tigrini, funghi ottimi per il pescatore. Più avanti, tra le felci e l'erica, un dono fra i doni: due colombine verdi, russule virescens che disturbavano la mente del pescatore seduto dietro il cespuglio. Egli sentiva già il loro peso sulle mani ed il profumo nel piatto; a fette sottili, solo con sale e pepe ed un bicchiere di buon vino ne gustava la bontà. Ma doveva scacciare quelle cose dalla mente, doveva pensar solo alla trota, la strella, così  l'aveva chiamata.

Era un torrente tranquillo con un continuo bollare di pesci, tra una sponda e l'altra c'era si e no la distanza di due canne in fila e lo si poteva guadare senza paura.

Il suo letto era costituito da sabbia, ciottoli, mentre cordoni di alghe imitavano il movimento delle anguille.

Era  proprio un torrente tranquillo che poi usciva dal bosco a rigare un bel prato di trifoglio e a riflettere nello spazio i raggi del sole; pappi, foglie e silique seguivano la corrente che dopo una certa storia di curve e di anse, si immetteva nel grande fiume.

Savino  il pescatore, se ne stava seduto dietro il suo cespuglio, non moveva muscolo, non procurava rumori, aspettava il momento giusto. Era uno degli ultimi pescatori innamorati di quella dilettanza, ed anche se avanti con l'età l'azzurro della giovinezza era sempre vivo nei suoi occhi.

Lì, proprio all'altezza di quel cespuglio Savino aveva visto la sua trota; tutto s'era svolto in un attimo; uno zac per frangere la tensione superficiale e catturare il bruco della geometria che dal ribes s'era calato col suo filo di seta; s'era mostrata tutta con la sua livrea di perle e di rubini, bellissima selvaggia. La larva non aveva fatto in tempo a toccare l'acqua che gia spariva nelle sue fauci.

Aveva provato tante volte e con esche sempre diverse, aveva studiato ogni particolare, ogni speculazione, ogni possibile intelligenza, ma niente, era troppo furba, troppo diffidente.

Mille volte l'aveva sognata in un gioco di perle e di rubini; così  intensamente che ormai il sogno era più bello della stessa strella. Ora però  era il momento giusto, il momento che aspettava. Non doveva fare alcun rumore. E' capace di sentirmi pensava ad un chilometro di distanza, sente i passi sul terreno, sulla sabbia, sul ghiaieto.

Cavedani azzurri risalivano la corrente a riva e dopo si abbandonavano lasciandosi portare verso il centro. Alborelle arditissime si davano un gran daffare, vaironi lunghi una spanna, cacciatori di fondo e di superficie, nuotavano liberi di mostrarsi. Solo il temolo si manteneva a distanza per una percezione istintiva difficile da intendere; si aggirava verso l'altra sponda, dove c'era l'airone bianco e dove i riflessi del crescione, della veronica, e degli iris gialli, lo nascondevano in parte.

Era diffidente il temolo, anche perché non riusciva a localizzare il pericolo.

Anche se parecchi pescatori avevano specchiato le canne in quelle acque da sogno, nessuno aveva mai visto la strella.

Rane e grilli erano impegnatissimi in un concerto senza pari, e a rinforzare l'orchestra, si mettevano anche gli uccelli tra le cannette.

Savino aveva portato la sua cannetta corta, robusta, col cimino un pò tozzo, verde di colore; un capiente cestino di vimini col fondo ricoperto di artemisie. C'erano tante zanzare, ma da quelle sapeva difendersi il pescatore, solo gli stili del bruco della processionaria lo ferivano quando attraversava il bosco.

Ma che cosa aspettava Savino? Qual'era il momento giusto? Come voleva catturarla quella trota? Voleva catturarla davvero?

Da qualche parte giungeva un profumo di sterpi bruciati, profumo assai caro a chi è cresciuto tra i campi; tutte le volte che sentiva quegli odori una struggente nostalgia lo assaliva. Gli ricordava la sua terra lontana, l'odore dell'ulivo, del mandorlo, del pino marittimo. Avrebbe voluto ritornare al suo paese per quel legame che mai si spezza; tuttavia, anche qui aveva intessuto solide corde anche esse amate. Non poteva più andarsene, ma non aveva lasciato morire dentro di se. Lo consolava il fatto che anche qui al nord, le sue stelle erano allo stesso punto del cielo, ed anche quella che brillava di più era al suo posto.

Cominciava a crearsi il momento. Cominciava a succedere qualcosa.

Savino tirò fuori dalla tasca un tubetto dove aveva riposto del vischio naturale, prelevato dalle ascelle del cardo. Cosparse l'amo con quella sostanza, vi versò sopra un pò di zucchero ed aspettò che le mosche vi si posassero. Non passò molto tempo che l'amo era trasformato in un grappolo di mosche che si dimenavano senza riuscire a staccarsi.

Ora Savino  aveva l'esca giusta.

Le cime degli alberi cominciavano a muoversi come se fosse sopraggiunto una specie di vento, un vento strano. In acqua cominciavano a cadere una infinità di detriti vegetali, rami, foglie, silique ecc. seguito da una grande attività dei pesci.

Probabilmente era lo stesso momento in cui la calamita del mare influenza le sue acque, come se lo stesso effetto si manifestasse sulla terra ferma. Oppure chissà!

Infilò la canna tra i cespugli. Preparò il retino. Calò il filo col grappolo di mosche.

Nell'aria volavano formazioni di anitre a forma di V. Le vergini dei fiori si davano un gran daffare tra un calice e l'altro.

L'inganno non fece a tempo a toccare l'acqua che gia spariva nelle fauci della trota. Di salmo trutta strella.

Metterla nel retino fu una questione di un attimo.

A terra sull'erba bagnata strella non faceva una piega. Guardava il pescatore con gli occhi di una persona, uno di quei sguardi che parlano. Anche Savino la guardava immobile con le mani sulla faccia. Nessuno dei due sapeva che fare.

Era bella, tanto bella da fare paura, superba, selvaggia, con la pinna dorsale armata, con la bocca pronta a parlare. Savino era ipnotizzato, poi capì delle cose che pochi capiscono.

Capovolse il retino e la lasciò sull'erba bagnata. Strella fece un movimento e poi con un guizzo elegantissimo perla e rubini sparì in corrente.

Non si sa quanto stette a guardare Savino; certo e' che i vecchi pescatori più si avvicinano a Dio e più in qualcosa gli somigliano.

Voleva tirare dritto Savino, ma davanti alla porta del bar della barona, si fece avanti Camillo, davanti a lui doveva fermarsi per forza, solo con lui poteva parlare della pesca come la intendevano loro. Guardò nelle tasche dell'amico e vi trovò tre colombine verdi; ispezionò il cestino e non vide nulla.

L'avevi presa! Era lei?  Sì.

L'hai lasciata andare?  Sì. Era giusto? Sì!

Savino tirò avanti per la sua strada, nel cielo formazioni di migratori erano in rotta di primavera.

Al bar della barona i vecchi giocavano a carte, il fumo delle sigarette e l'odore del barbera dominavano l'ambiente. Nella mensola dietro il banco facevano bella mostra coppe, trofei e la testa di un grosso luccio imbalsamato.

C'era una specie di silenzio tra i pescatori, il silenzio della stima. Poi alcuni di essi chiesero al Camillo: che trota era quella che aveva Savino? Quanto era grossa? Ma quale trota?

Non fare il cretino, l'abbiamo vista tutti, Tutti l'abbiamo vista.

Salmo trutta strella.

Ignazio Abbruzzo
 



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